venerdì 6 dicembre 2013

Sonetto 105 di Shakespeare

Ritrovo fra i vecchi file questa traduzione del sonetto 105 di Shakespeare. 
Lo offro ai miei pochi lettori, sperando di fare cosa gradita.




Non chiamate il mio amore idolatria,
e un idolo il mio amato non vi sembri,
essendo pari mie lodi e poesia
dell’uno, all’uno, ancora e per sempre.

Oggi bello, bello domani il mio
amore, fermo in splendida eccellenza:
perciò fermo in costanza il verso mio
dice una cosa, e toglie differenza.

“Bello, gentile e vero” è il mio argomento,
“Bello, gentile e vero” in nuovo detto;
la mia invenzione è in questo cambiamento,

tre temi in uno, di stupore oggetto.
“Bello, gentile e vero” soli spesso,
ché in uno mai finora fu il consesso.




Let not my love be call'd idolatry,

Nor my beloved as an idol show,

Since all alike my songs and praises be

To one, of one, still such, and ever so.


Kind is my love to-day, to-morrow kind,

Still constant in a wondrous excellence;

Therefore my verse to constancy confin'd,

One thing expressing, leaves out difference.


'Fair, kind, and true,' is all my argument,

'Fair, kind, and true,' varying to other words;

And in this change is my invention spent,


Three themes in one, which wondrous scope affords.

Fair, kind, and true, have often liv'd alone,

Which three till now, never kept seat in one.

domenica 29 settembre 2013

la retroattività e il buon leader

Non so chi abbia ragione sulla questione della retroattività della legge Severino. Ma temo che il vero nodo non sia questo, che appare come un cavillo per sfuggire alla realtà: e la realtà è che un leader deve sempre assumersi le sue responsabilità, che vanno oltre il margine del suo controllo a breve raggio. Un leader è responsabile, sempre, di quello che avviene sotto la sua giurisdizione, e se non è in grado di garantire questo controllo deve dimettersi e deve riconoscere di non essere all'altezza. Si tratta di seguire il modello dell'"adulto" contro quello del "minore". Un leader non può seguire il modello del minore, che ha sempre qualcun altro a rispondere per i suoi atti; un leader è al contrario l'adulto che è responsabile anche degli atti dei minori a lui affidati. Per questo l'atteggiamento del leader del PDL è veramente incomprensibile, se osservato da questo punto di vista, ed è inaccettabile il suo rifiuto della sentenza della Cassazione: atteggiamento che lo riduce davvero alla statura di "nano" che i suoi detrattori hanno sempre sottolineato con ferocia alludendo alla sua bassa statura fisica, e che ora si sta rivelando un attributo calzante alla sua statura morale.
Con tutto ciò, credo che sia ora di tornare alle urne, di ripulire tutto e cominciare da capo. Sperando che il PD faccia il passo giusto e si rinnovi davvero in profondità, scegliendo un leader che possa essere riconosciuto come tale da una larga fetta di italiani e non solo dai nostalgici del bel tempo che fu (ma quale bel tempo?). E lasciamo mr. B a dire a sé stesso, come i bambini di Arzano: "io speriamo che me la cavo".

mercoledì 4 settembre 2013

Shakespeare sonetto XXIV

Un piccolo immenso cimento: traduco un sonetto di Shakespeare.
Ecco qua, spero la mia traduzione non sia troppo zoppicante.





Si fa pittore l’occhio mio, tracciando
Sulla tela del cuore i tuoi bei tratti;
il mio corpo è cornice che li serra,
e prospettiva è l’arte del pittore.

Ché pel pittore puoi vederne l’arte,
di trovar dov’è la tua vera imago;
è appesa alla bottega del mio seno,
che vetri alle vetrine ha gli occhi tuoi.

Vedi che bene fa l’occhio per l’occhio:
traccia il mio la tua forma, son i tuoi
al mio petto finestre, per cui il sole

gode a affacciarsi, e dare a te un’occhiata;
ma dell’occhio perciò imperfetta è l’arte;
quello che vede fa, ma ignora il cuore.




Mine eye hath play'd the painter and hath stell'd 

Thy beauty's form in table of my heart;

My body is the frame wherein 'tis held, 

And perspective it is the painter's art. 


For through the painter must you see his skill,

To find where your true image pictured lies; 

Which in my bosom's shop is hanging still, 

That hath his windows glazed with thine eyes. 


Now see what good turns eyes for eyes have done: 

Mine eyes have drawn thy shape, and thine for me 

Are windows to my breast, where-through the sun 


Delights to peep, to gaze therein on thee; 
   
Yet eyes this cunning want to grace their art;
   
They draw but what they see, know not the heart.



venerdì 17 maggio 2013

Attualità di Du Bellay

Sembra scritta oggi, purtroppo. La Roma di un tempo dov'è andata? 
Ecco cosa diceva Du Bellay nel Cinquecento: sempre mia la traduzione.



LXXXIII

Robertet, non pensare che questa Roma qua
Sia quella Roma là che tanto ti piaceva.
Credito non si fa, come allora s’usava,
Non si fa più l’amore, come s’usava già.

La pace ed il buon tempo qui non regnano più,
La musica ed il ballo vi devono tacere,
L’aria vi è corrotta, Marte vi è consueto,
Consueta la fame, la pena e l’ansietà.

L’artigiano vizioso qui chiude la bottega,
Qui l’ozioso avvocato lascia il suo incartamento
E il povero mercante vi porta la bisaccia:

Non vedi che soldati, ed elmi sulla testa,
Non odi che tamburi e simile tempesta,
E Roma tutto il giorno attende un altro sacco.


domenica 12 maggio 2013

La satira secondo Du Bellay

Ecco un altro sonetto di Du Bellay: qui definisce il suo concetto di satira. Il "Calabrese" è Orazio. La traduzione, come sempre, è la mia (Paola Magi).


Quel fine Calabrese solletica ogni vizio,
Qualunque sia, all’amico, e nessuno risparmia,
Fa ridere perfino gli stessi che punzecchia,
Scherzando intorno al cuore di chi ha preso a bersaglio.

Se qualche perspicace si accorge nei miei versi
Che io mordo ridendo, nessuno tuttavia
Mi chiami falso amico verso quelli che pungo:
Ché chi mi stima tale, fortemente s’inganna.

La satira, Dilliers, è un pubblico esempio,
Dove, come uno specchio, l’uomo savio contempla
Tutto quello che è in lui di bello o di malfatto.

Non mi leggete dunque, o chi mi vorrà leggere
Non s’arrabbi se vede, messo in modo da ridere,
Qualche cosa di sé dipinto nel ritratto.



venerdì 26 aprile 2013

Du Bellay profetizzava Letta?



Sembrerebbe scritto per questa giornata di politica italiana. Invece Du Bellay lo scriveva nella Parigi del XVI secolo. Sempre nella mia traduzione.


Se a corte vuoi avere solida posizione,
Il silenzio (Ronsard) ti sia come un decreto.
Chi ad un amico soffia la chiave d’un segreto,
Diventare lo fa, da suo amico, padrone.

Devi ancora, Ronsard, mi parrebbe, tenere
Col tuo nemico qualche discreta mediazione,
Agendo contro lui, dagli dimostrazione
Che così ti fa agire soltanto il tuo dovere.

Vediamo troppo spesso una lunga amicizia
Per un nulla mutarsi in fiera inimicizia,
Ed in odio l’amore sovente trapassare.

Del che (veduti i tempi) non dobbiamo stupirci,
Ama dunque, Ronsard, come potessi odiare,
Odia dunque, Ronsard, come potessi amare.