mercoledì 27 febbraio 2013

La Chiesa secondo Du Bellay: pensando a Papa Ratzinger




LXXVIII

Non ti racconterò di Bologna e Venezia,
di Padova e Ferrara, o di Milano ancora,
di Napoli, Firenze, le quali sono ora
migliori per la guerra, o per la mercanzia:

Ti racconterò invece della Chiesa l’assedio,
che fa d’oziosità il più ricco tesoro,
e che sotto l’orgoglio di tre corone d’oro
cova l’ambizïone, l’ipocrisia e l’odio:

Io ti dirò che qui felicità e sventura,
il vizio e la virtù, il piacere e il dolore,
l’onorevole scienza, e l’ignoranza abbonda.

Insomma ti dirò, come nel vecchio Caos,
qui trovi (Pelletier) mischiato alla rinfusa
tutto quel che di bene e male è in questo mondo.

martedì 5 febbraio 2013

Malinconia di Du Bellay

Ecco il numero VI dei Regrets: è una composizione che amo particolarmente per l'atmosfera di malinconia che la pervade. Qulle perdute danze con le ninfe, al chiar di luna, sono una di quelle immagini che ti restano dentro per sempre.


Ahimè, dov’è finito lo sprezzo di Fortuna?
dov’è quel cuore che vince ogni avversità?
Quell’onesta ambizione dell’immortalità,
e quell’onesto ardore, così poco comune?

Dove i dolci piaceri che, nella notte bruna
mi davano le Muse quando, in libertà,
sopra il verde tappeto d’una riva lontana
le facevo danzare ai raggi della luna?

Adesso la Fortuna è la mia padrona:
e il cuore, che soleva esser padrone a sé
di mille mali è servo, di pene e di tormenti.

Della posterità più non mi dò pensiero,
e nemmeno ho più quel bel divino ardore,
e le muse da me vanno via, indifferenti.



domenica 3 febbraio 2013

Accettiamo, Mauny, la cattiva fortuna

Ecco un altro sonetto dei Regrets di Joachim Du Bellay, sempre nella mia traduzione. Lo trovo molto profondo, filosofico nella sua apparente semplicità. Bellissima la chiusa: conoscere noi stessi è una grande conquista, per la quale val la pena sopportare le avversità della sorte.


 Joachim Du Bellay

Accettiamo, Mauny, la cattiva fortuna,
ché la buona nessuno si può assicurare,
e che nella cattiva si può sempre sperare,
essendo sua natura non essere mai una.

Teme il saggio nocchiero la grazia di Nettuno,
sapendo che il bel tempo non può a lungo durare:
e non è meglio qualche tempesta sopportare,
che sempre aver timore che il mare sia importuno?

Dalla buona fortuna ci si trova ingannati,
la fortuna contraria ci rende più avveduti:
una spegne virtù, l’altra la fa apparire:

una ci inganna gli occhi col viso mentitore,
l’altra l’amico scernere fa dall’adulatore,
e chi siamo a noi stessi permette di scoprire.

venerdì 1 febbraio 2013

Beato come Ulisse chi ha fatto un bel viaggio.

Questo sonetto, il numero 31 della raccolta Les Regrets, è sicuramente il più famoso fra i tanti scritti da Du Bellay. Di ispirazione virgiliana, nella seconda strofa soprattutto, è però nell'insieme decisamente originale e sentito. E' uno dei miei preferiti, anche se non è l'unico. Trovo fantastico il suo fermo detestare l'Italia e soprattutto la Roma corrotta dei papi: così lontana da tutti i luoghi comuni sui fasti del Rinascimento, forse perché quando lui arrivò a Roma c'era già stato il Sacco, l'atmosfera non era affatto serena, e il giovane Du Bellay, che era giunto carico di sogni, non ha trovato affatto quello che si aspettava, la città dedita all'arte e alla bellezza, ma un covo di intriganti e un vento di guerra e di decadenza morale e culturale. Un punto di vista a volte forse eccessivamente duro, ma proprio per questo molto istruttivo. Ecco la mia versione in italiano dell'Ulisse.

Beato, come Ulisse, chi ha fatto un bel viaggio,
oppure come l’altro che ha conquistato il vello,
ed è tornato, pieno d’esperienza e di senno,
a vivere fra i suoi il resto della vita!

Ahi, quando, del mio borgo piccolo, rivedrò
il camino fumare, ed in quale stagione
vedrò il recinto della mia povera magione,
ch’è per me una provincia, e molto molto più?

Preferisco la casa eretta dai miei avi,
ai palazzi romani dalla fronte gagliarda,
e più del marmo duro amo l’ardesia fina:

più la gallica Loira del Tevere latino,
più il mio Liré modesto, del monte Palatino,
più dell’aria di mare la dolcezza angioina.