Ahimè, dov’è finito lo
sprezzo di Fortuna?
dov’è quel cuore che vince
ogni avversità?
Quell’onesta ambizione
dell’immortalità,
e quell’onesto ardore, così
poco comune?
Dove i dolci piaceri che,
nella notte bruna
mi davano le Muse quando,
in libertà,
sopra il verde tappeto
d’una riva lontana
le facevo danzare ai raggi
della luna?
Adesso la Fortuna è la mia
padrona:
e il cuore, che soleva
esser padrone a sé
di mille mali è servo, di
pene e di tormenti.
Della posterità più non mi
dò pensiero,
e nemmeno ho più quel bel
divino ardore,
e le muse da me vanno via,
indifferenti.
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