martedì 26 aprile 2011

Petroliniana


Chi si ricorda di Petrolini?
Quando ero al liceo avevo comprato un libretto con le sue battute di cabaret, e mi divertivo molto a leggerle. Oggi suonano, spesso, un po' datate: ma qualche perla rifulge ancora.
Ho fatto un limerick in omaggio a quel grande attor comico del tempo che fu. Ecco, per chi non lo ricordasse, l'Amleto di Petrolini: "io sono il pallido prence danese/ che parla poco, che veste a nero,/ che si diverte nelle contese,/ che per diporto va al cimitero".
Ed ecco l'omaggio di Paola Magi alias Delfina:

Un pallido prence danese

spendeva tre talleri al mese

per fare baldoria

che Dio l’abbia in gloria

quel pallido prence danese.

giovedì 21 aprile 2011



BUONA PASQUA


Buona Pasqua con l'Ovetto,
tutto in fiore è il giardinetto:
la sorpresa sono i fiori
che tripudio di colori!
Ci rallegra Vitamina
con la Torta Pasqualina.
Ecco Duck tutta agghindata
che prepara la frittata;
Iulia arriva, e ci propone
un buonissimo lampone,
mentre Grazia ci descrive
quadri come cose vive.
La Luisa, pian pianino,
dentro il blog fa capolino;
Buona Pasqua, cari amici!
Tutti bloggano felici.

martedì 12 aprile 2011

Luisaaaaaa


Lo so che ci sei. Lo so che mi leggi. Scusate, miei consueti lettori, stavolta non parlo con voi. Parlo con la mia amica Luisa. Come vorrei che aprisse un blog anche lei. Non avete idea di come sa raccontare. Lei e Vitamina sono due narratrici d'eccezione. Io giocherello con le rime e con trastulli intellettual-artistici; loro due sanno cogliere la vita in flagrante. Mica è da tutti. Luisaaaa scriviiiiii che ci fa piacere starti a sentire.


L'alligatore


La mia amica Vitamina ha parlato di macrobiotici, vegani & altro nel suo blog "Iris e libellule".
Ecco un limerick in tema.

Un Alligatore svedese
mangiava tre pecore al mese
ma giunto a Milano
divenne vegano
quell'Alligatore svedese.

lunedì 11 aprile 2011

Perché mi piace Kate Middleton


Forse vi parrà un argomento un po' troppo futile: ma non lo è. Anzi, credo che sia un soggetto molto, molto interessante.

In Europa sembra che essere o non essere aristocratici abbia ancora una grande importanza. Non è bastata una Rivoluzione Francese, non è bastata l'idea di una Repubblica fondata "sul lavoro". Il malefico fascino dell'aristocrazia continua a emettere la sua luce verdognola e persistente, seducendo e ipnotizzando un po' tutti. Sveglia! sembra dirci William, Principe d'Inghilterra suo malgrado. Vi ricordate quando era piccolo e protestava che lui non voleva fare il re da grande? Poveretto.
William ha preferito una commoner. E ha ragione. Kate ha una famiglia unita, allegra, che la sostiene e le è vicina. William è cresciuto in un nido di serpenti, e adesso chiama Papà il suocero.
Il vantaggio di una commoner su una aristocratica è che la commoner deve quello che ha solo a se stessa. E a me piace moltissimo la gente che deve quel che ha solo a se stessa.

L'aristocrazia è la faccia perbene della mafia. Organizzata per famiglie. Basata su un controllo esteso del territorio. Ha sviluppato nei secoli un linguaggio complicato di gesti e di comportamenti, che ne costituiscono il fascino pericoloso e ingannevole. L'aristocrazia sa bene quanto sia importante la seduzione delle immagini. Ma cosa c'è dietro? Arroganza, presunzione, desiderio di potere.

Mi commuovo quando penso agli antenati minatori di questa giovane donna, che non li dimentica, anzi, si fa un vanto delle sue origini. E invita il pizzicagnolo del paese alla sua festa di nozze.
Mi piace questa bellezza fresca che non vuole altro che fiori sul suo capo, nel giorno delle nozze: perché si sposa per amore e non per la corona.
Che tristezza quei diademi impettiti e rigidi, che sembrano posare sul capo di chi li indossa il peso del sangue versato nei secoli per consolidare il potere di chi li ha fatti realizzare.

Kate è ambiziosa: bella qualità. L'ambizione è un pregio, se non tracima nell'avidità e nell'orgoglio. E non mi pare che Kate Middleton stia dimostrando né l'una né l'altro.
L'ambizione ci spinge a fare il meglio, a cercare il meglio in noi stessi e da noi stessi.

Mi piace la gioia intensa che promana da tutti i gesti e da tutte le espressioni di questa bella coppia. Mi consola, mi sembra un bel dono per noi tutti. Un invito a sperare.

Auguri e felicità, viva gli sposi.

Il pianista che ascolta con le dita


Sabato scorso ho presentato in anteprima il mio nuovo libro. Si intitola "Il Pianista che ascolta con le dita". Lo definisco "un'avventura in forma di libro". Niente di rocambolesco né di Rambo-style, lo definisco anche "diario riflessivo", dal che si capisce come l'avventura in questione sia soprattutto intellettuale.

La vita a volte è curiosa, si fanno incontri che ci trasformano completamente, anche se quando accadono non ce lo immagineremmo mai e poi mai.
Circa sette anni fa mi accadde, in un bel pomeriggio primaverile, di essere fermata per strada da una bella e giovane signora, madre di una compagna di Scuola Materna di mia figlia. Questa signora parlava con uno strano accento, non capivo bene se fosse straniera o se avesse qualche piccolo difetto di pronuncia. Il suo sorriso era estremamente caldo e comunicativo, e mi fermai volentieri a chiacchierare.
Cose di mamme, cose di Milano e del nostro quartiere; la nostra amicizia è cominciata così, e, senza saperlo, è stato anche l'inizio di una straordinaria avventura.
La mia amica si chiama Martina, è architetto come me, anche se lei è specializzata in urbanistica. Ha fatto il dottorato di ricerca in Università, ha lavorato a importanti ricerche, poi ha scelto di diminuire il suo impegno lavorativo per dedicarsi ai due figli; ma è un vero vulcano, e le sue attività non si sono certo azzerate né per quantità, né per qualità e impegno.

Dimenticavo di dire una cosa importante: Martina è sorda dalla nascita. Ha imparato a parlare grazie, fra l'altro, all'impegno quotidiano dei suoi genitori che per anni hanno realizzato dei cartoncini sui quali incollavano.. la vita.
Papà e mamma di Martina ritagliavano immagini di riviste e giornali, etichette e scatole di prodotti, francobolli, pezzi di stoffa, ciocche di capelli, e le incollavano sui cartoncini. Questo lavoro di cernita era compito principale della mamma. Il papà, ingegnere, con la sua bella calligrafia nitida provvedeva poi a scrivere in bell'alfabeto tondo minuscolo le parole, con il blu le consonanti con il rosso le vocali.
Il mondo ritagliato e incollato. Vorrei farvele vedere, queste foto e le parole che ci sono scritte sotto. C'è di tutto, concetti semplici e concetti a volte mica così immediati, per esempio due cartoncini con scritto "indice", uno con la foto del dito e uno con un indice ritagliato da qualche libriccino.
L'intelligenza con cui sono stati realizzati quei cartoncini sermbra sia magicamente filtrata nella mente aperta di Martina, pronta a ricevere tutto come una spugna.
E' lei che mi ha guidato a scoprire una realtà da cui ero esistenzialmente lontanissima; di solito, al mondo della sordità ci si avvicina quando capita di avere un familiare con questo tipo di problema.

Una volta Martina mi ha portato a vedere un pittore. Niente di strano, ne ho conosciuti e visti a tonnellate nella mia vita. Ma mai nessuno come questo. Esref Armagan è cieco nato, e dipinge bellissimi quadretti, disegna in prospettiva e con le ombre che rispettano la teoria delle ombre. Un'esperienza indimenticabile. Da allora ho cominciato a scrivere appunti, osservazioni, cercando di capire cosa ci sia in comune fra i vari linguaggi di cui gli esseri umani si servono per comunicare. Le esperienze di chi ha uno dei sensi meno efficiente sono state fondamentali per capire tante cose.

La prima cosa che mi sono chiesta è: cosa "vede" Esref quando disegna? dov'è, cos'è in realtà l'immagine che noi percepiamo? cosa ce la fa percepire?
Ho pensato che dev'essere qualcosa che ha a che fare con la matematica, e mi sono venute in mente le relazioni che da sempre i filosofi hanno evidenziato fra matematica e linguaggio. E poi, e poi... de fil en aiguille, come dicono i francesi, di cosa in cosa, saltando di palo in frasca sono arrivata a parlare di Giotto e di Leonardo, di Dante e Virgilio, a citare Cartan e Poincaré, per finire con le più recenti e appassionanti scoperte delle neuroscienze, ma sempre con un occhio attento alla mia amica Martina e ai problemi di apprendimento del linguaggio che caratterizzano il percorso di chi nasce con l'udito troppo debole.

Le cose si sono illuminate a vicenda: via via che andavo avanti mi rendevo conto che capire come funzionano i diversi linguaggi, e quello che li accomuna, è importantissimo per affrontare con consapevolezza la questione della sordità congenita. D'altro canto, certe questioni poste dalla deprivazione sensoriale finiscono poi per essere illuminanti nei confronti della natura stessa dei linguaggi.

Insomma, una strada piena di curve e di innesti, sorprendente, imprevedibile, appassionante.

martedì 5 aprile 2011

La vecchia Bertuccia

Ecco ancora un limerick, tanto per chiudere con un sorrisetto il tema "età" .


Un tale di Roccacannuccia

aveva una vecchia Bertuccia:

a chi le chiedeva

l’età, lei faceva,

con molto bel garbo, boccuccia.

lunedì 4 aprile 2011

La bellezza della vecchiaia


Qui ci vorrebbe un intervento di Grazia, l'esperta d'arte dei blog che frequento.

Compito in classe:
La vecchiaia nell'arte fra modello greco e modello romano.

Svolgimento.
I Greci odiavano la vecchiaia. Per loro l'età più bella erano i vent'anni, dopodiché c'era solo dolore, orrore, decadimento. Solo più tardi, in epoca ellenistica, cominciarono a raffigurare nelle loro sculture anche la decadenza fisica.
I Romani invece ci hanno lasciato, fra le opere più legate alla loro tradizione e non influenzate dal modello greco "d'importazione", un bel po' di teste rugose di vecchi e di vecchie. Di vecchi maschi, soprattutto, i Patres Familias, personaggi di immenso prestigio a cui si prendeva il calco del viso appena morivano, e queste maschere venivano conservate religiosamente (è proprio il termine giusto) diventando vere e proprie divinità, il Lari, i Mani, i Penati.
Insomma l'immagine della vecchiaia era qualcosa di molto autorevole e positivo per loro.
Queste maschere venivano talvolta indossate, in occasioni di grande solennità, da persone simili al defunto come corporatura, che si vestivano con i suoi abiti e sfilavano solennemente, salutati con commozione da tutti, osannati e lodati con grandissimo onore.
Ci sono certe sculture davvero impietose, facce serie e inespressive solcate da milioni di rughe, i ritrattisti non ne risparmiavano nemmeno una.
Eppure questi volti hanno una solenne maestà, impensabile nella faccia liscia e polita di un ventenne che non sa ancora nulla della vita.
Oggi c'è la tendenza a perpetuare il modello greco della bellezza fisica, con ostinazione che porta al ridicolo e, talvolta, al drammatico, come nel caso non infrequente di interventi di chirurgia plastica mal riusciti, con effetti sfiguranti.
I greci erano arrivati, nella loro fissazione per la giovinezza, a coniare il detto che "muore giovane colui che al cielo è caro". Ci sono due sculture arcaiche del VI secolo a.C., Cleobi e Bitone, che raffigurano due fratelli. Erano figli di una sacerdotessa di Era che, un giorno, si trovò nei pasticci: doveva presenziare a una cerimonia al tempio ed era terribilmente in ritardo. Viaggiava su un carro tirato dai buoi, che col loro passo lento avrebbero impiegato troppe ore per arrivare in tempo. Allora i suoi due baldi figlioli decisero di fare loro stessi da buoi e, col loro passo potente ed elastico, trascinarono il carro a tutta velocità, permettendo alla madre di arrivare in perfetto orario. La madre dunque chiese alla Dea di compensare i suoi bravi figli con il dono più bello che potesse offrire loro; la Dea li fece addormentare di un sonno eterno e soave, preservandoli così dalla vecchiaia e dal dolore.


Felici a 50 anni


Si è più felici dopo i 50 anni? Un articolo sul Corriere mi induce a qualche riflessione.
Ho superato la cinquantina da qualche anno, e devo dire che la risposta, tutto sommato, potrebbe essere affermativa.
Non sono stata una ventenne felice. Troppi problemi, difficoltà e timori, ostacoli sia interiori che esteriori: e poi quegli ormoni ballerini, un su e giù di desideri, passioni, momenti di paradiso e lunghe immersioni nell'inferno.
Dopo il periodo di rodaggio dei trent'anni, ecco che, con i quaranta, la vita finalmente ha cominciato a sorridere in modo più continuativo. Sono diventata madre tardi, a 42 anni, e la maternità ha dato un senso nuovo, solare e placato, alla mia vita. Entusiasmo per qualcosa di veramente grande e condivisibile che andavo costruendo; relazioni con gli altri rese solide dalla strada comune che si andava percorrendo. Le amicizie con le altre mamme sono state un regalo meraviglioso che ancora mi accompagna.
I cinquanta sono stati un momento speciale. Un grande dolore: la perdita di mio padre. La menopausa, con la perdita dell'eros. Un rapporto di coppia sempre sull'orlo della crisi finale. Eppure... Ho scritto i miei primi due libri. Ho realizzato con certezza chi sono, cosa voglio e so fare, ho forzato fino all'estremo le possibilità dalle mia mente. Ho raggiunto un obbiettivo impossibile, con il libro su Marcel Duchamp, decrittando in modo chiaro il senso dei suoi scritti e della sua opera.
La perdita dell'eros non mi pare un dramma. Credo che l'erotismo sia largamente sovrastimato. In verità è una bella noia, una schiavitù, una dipendenza da cui sono contenta di essermi finalmente emancipata.

Sono più felice? non so. Mi piace avere una veduta retrospettiva su tutto quello che ho fatto, e non vorrei tornare indietro per tutto l'oro del mondo.



venerdì 1 aprile 2011

Un limerick per Vitamina

La mia amica Vitamina, che fra le altre cose è colpevole di avermi indotto ad aprire un blog, ha scritto un bel post nel suo (Iris e Libellule), sulla passione contagiosa per il giardinaggio. I pollici si tingono irreparabilmente di verde, uno dopo l'altro, le clematidi si arrampicano sui graticci, gli asfodeli fioriscono e sfioriscono, e noi lì a contemplare e a lavorare di zappa e zappetta, mani terrose e unghie nere (voi ve lo ricordate SEMPRE di mettere i guanti?).
Alla mia amica dalle passioni contagiose dedico, non sapendo far di meglio, un limerick.

Un Dentice di Varanasi

amava le ortensie nei vasi

ne aveva diciotto

in bagno e in salotto

quel dentice di Varanasi.