domenica 12 maggio 2013

La satira secondo Du Bellay

Ecco un altro sonetto di Du Bellay: qui definisce il suo concetto di satira. Il "Calabrese" è Orazio. La traduzione, come sempre, è la mia (Paola Magi).


Quel fine Calabrese solletica ogni vizio,
Qualunque sia, all’amico, e nessuno risparmia,
Fa ridere perfino gli stessi che punzecchia,
Scherzando intorno al cuore di chi ha preso a bersaglio.

Se qualche perspicace si accorge nei miei versi
Che io mordo ridendo, nessuno tuttavia
Mi chiami falso amico verso quelli che pungo:
Ché chi mi stima tale, fortemente s’inganna.

La satira, Dilliers, è un pubblico esempio,
Dove, come uno specchio, l’uomo savio contempla
Tutto quello che è in lui di bello o di malfatto.

Non mi leggete dunque, o chi mi vorrà leggere
Non s’arrabbi se vede, messo in modo da ridere,
Qualche cosa di sé dipinto nel ritratto.



3 commenti:

  1. Bella l'idea della satira come uno specchio per l'uomo savio. Oggi non basterebbe. O forse non c'è più nessun savio che voglia riflettere...

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  2. cara Grazia, viviamo un tempo triste. Non è solo la crisi economica, è soprattutto quella morale che mi angoscia. L'arroganza estrema del potere, che arriva a voler imbavagliare la satira. Ricordiamoci cosa dev'essere, invece. Du Bellay è da riscoprire.

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  3. Proprio così, cade a fagiolo per una cosa che mi è capitata di recente e che ti racconterò.

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