Destra, sinistra, Siena, Firenze, e un omaggio a Lorenzetti
giovedì 26 maggio 2011
Destra, sinistra, Siena, Firenze, e un omaggio a Lorenzetti
martedì 24 maggio 2011
Lusso calma e voluttà
lunedì 23 maggio 2011
Il serpente che danza
Il serpente che danza
domenica 22 maggio 2011
Il balcone
di Charles Baudelaire
(traduzione, come sempre, di Paola Magi)
O Madre dei ricordi, signora delle amanti,
Tu, tutto il mio piacere! Tu, tutto il mio dovere!
Ti tornerà alla mente la bellezza dei baci,
la dolcezza del fuoco, l’incanto delle sere,
O Madre dei ricordi, Signora delle amanti!
Le sere illuminate dal fuoco dei carboni,
e le sere al balcone, rosate di vapori.
Che dolce era il tuo seno! Che buono era il tuo cuore!
Ci parlavamo, spesso, di cose imperiture,
le sere illuminate dal fuoco dei carboni.
Che belli sono i soli nelle calde serate!
Che profondo lo spazio! e che potente il cuore!
Chinandomi su te, regina delle amate,
credevo di sentire del tuo sangue l’odore.
Che belli sono i soli nelle calde serate!
La notte s’ispessiva quasi come un recinto,
nel nero indovinavo con gli occhi le pupille,
bevevo, il tuo respiro, o dolcezza, o veleno!
Ti cullavo i piedini con mani di fratello.
La notte s’ispessiva quasi come un recinto.
So l’arte di evocare i momenti felici,
stretto nei tuoi ginocchi, rivivo il mio passato;
a che serve cercare le tue bellezze languide
se non nel cuore dolce e nel tuo corpo amato?
So l’arte di evocare i momenti felici.
Le promesse, i profumi e quei baci infiniti
rinasceranno mai da un abisso insondato
come, dopo un lavacro dentro i mari profondi,
risalgono nel cielo i soli rinnovati?
O promesse! O profumi! O quei baci infiniti!
lunedì 16 maggio 2011
giovedì 5 maggio 2011
Questa notte Santiago ha passato
la sua strada di luce nel cielo.
Lo raccontano i bimbi giocando
con un’acqua di fiume sereno.
Dove va il pellegrino celeste
lungo il chiaro infinito sentiero?
Va all’aurora che brilla nel fondo
su un cavallo più bianco del gelo.
O bambini, cantate nel prato
traforando col ridere il vento!
Dice un uomo che ha visto Santiago
in corteo con duecento guerrieri;
tutti quanti coperti di luce,
con ghirlande di verdi bagliori,
e il cavallo che monta Santiago
era un astro di vivo splendore.
Dice l’uomo che narra la storia
che si udì nella notte assopita
un frullare argentato di ali
che il silenzio portò con le onde.
Cosa è stato a fermare quel fiume?
Erano angeli i bei cavalieri.
O bambini, cantate nel prato,
traforando col ridere il vento!
E' una notte di luna calante.
Zitti! cosa si sente nel cielo,
che qui i grilli rinforzano gli archi,
ed abbaiano i cani dei campi?
- Nonna cara, per dove è il cammino,
nonna cara, che io non lo vedo?
- Guarda bene, e vedrai una striscia
di pulviscolo come farina,
una macchia che pare d’argento
o di perla. La vedi?
- La vedo.
Nonna cara, ma dove è Santiago?
- è lassù che cammina in corteo,
con la testa coperta di piume
ed il corpo di perle preziose,
ai suoi piedi si è arresa la luna,
tiene il sole nascosto nel petto.
Questa notte si sente nel piano
il narrare brumoso del canto.
O bambini, cantate nel prato,
traforando col ridere il vento!
Una vecchia che vive in miseria
nella parte più alta del borgo,
che possiede un’inutile rocca,
una vergine e due gatti neri,
mentre fa la sua ruvida calza
con le dita smagrite e tremanti,
circondata da brave comari
e da sudici vispi bambini,
nella placida notte tranquilla,
con i monti perduti nel buio,
va narrando con lente cadenze
la visione che ebbe ai suoi tempi.
Lei lo vide, una notte lontana
come questa, né suoni né vento,
lei lo vide Santiago beato,
pellegrino nei lidi del cielo.
-E, comare, com’era vestito?
-le domandano in coro due voci.
-Con bordone di perle e smeraldi
e una tunica in panno velluto.
Quando lui ha varcato la porta,
le colombe hanno aperto le ali
e il mio cane, che stava dormendo,
l’ha seguito leccando le orme.
Era dolce l’Apostolo santo,
dolce più che la luna in gennaio.
Nel passare lasciò sul sentiero
un profumo di giglio e d’incenso.
-E, comare, non ti ha detto nulla?
-le domandano in coro due voci.
-Mi ha sorriso passandomi accanto,
mi ha lasciato qui dentro una stella.
-Dove tieni nascosta la stella?
-le domanda un bambino curioso.
-Ti si è spenta - le chiedono altri -
come il frutto di un incantamento?
-No, bambini, la stella risplende,
me la porto rinchiusa nel cuore.
- E quaggiù, come sono le stelle?
-Bimbo mio, sono come nel cielo.
-Su continua, o vecchia comare.
Dove andava il viandante glorioso?
-Si perdette per quelle montagne
con le bianche colombe ed il cane.
Ma lasciò tutta piena la casa
di garofani rose e viole,
sulla pergola l’uva matura,
che era verde, e il mattino seguente
ho trovato ricolmo il granaio.
Questo ha fatto l’Apostolo buono.
-Che fortuna hai avuto, comare!
-si pronunciano insieme due voci.
I bambini già stanno dormendo
ed i campi in profondo silenzio.
O bambini, pensate a Santiago
sui confusi cammini del sogno!
Notte chiara, di fine di luglio!
E’ passato Santiago nel cielo!
La tristezza che tiene il mio cuore,
io la lascio sul bianco sentiero,
chissà mai che la trovino i bimbi
e la mandino a fondo nell’acqua,
chissà mai che nel cielo stellato
via, lontano la portino i venti.
martedì 3 maggio 2011
Federico Garcia Lorca
Lamento per Ignacio Sanchez Mejias
Traduzione di Paola Magi
1 – L’incornata e la morte
Alle cinque della sera.
Era alle cinque in punto della sera.
Un ragazzo portò il lenzuolo bianco
alle cinque della sera.
Una cesta di calce era già pronta
alle cinque della sera.
Tutto il resto era morte e solo morte
alle cinque della sera.
Il vento si portò via le lanugini
alle cinque della sera.
L’ossido seminò cristallo e nichel
alle cinque della sera.
Già lotta la colomba col leopardo
alle cinque della sera.
La coscia con un corno desolato
alle cinque della sera.
Cominciarono i suoni di bordone
alle cinque della sera.
Le campane di arsenico e il fumo
alle cinque della sera.
E negli angoli gruppi di silenzio
alle cinque della sera.
E il toro, unico cuore alto levato!
alle cinque della sera.
Quando fu giunto il sudore di neve
alle cinque della sera.
Quando l’arena si coprì di iodio
alle cinque della sera.
E la morte covò nella ferita
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Era alle cinque in punto della sera.
Un catafalco con le ruote è il letto
alle cinque della sera.
Ossa e flauti gli suonano all’orecchio
alle cinque della sera.
Il toro già muggiva dalla fronte
alle cinque della sera.
La stanza s’iridava d’agonia
alle cinque della sera.
Da lontano già arriva la cancrena
alle cinque della sera.
Tromba di giglio per gl’inguini verdi
alle cinque della sera.
Ardono come soli le ferite
alle cinque della sera,
e la folla rompeva le finestre
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Ahi, terribili cinque della sera!
Era alle cinque in tutti gli orologi!
Era alle cinque all’ombra della sera!
2 – Il sangue versato
Non voglio vederlo!
Di’ alla luna di affacciarsi,
non voglio vedere il sangue
d’Ignazio sopra l’arena.
Non voglio vederlo!
La luna là, spalancata,
cavallo di nubi quiete,
l’arena grigia del sogno
coi salici sui recinti.
Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.
Avvisate i gelsomini,
con quel biancore piccino!
Non voglio vederlo!
La vacca del vecchio mondo
passava la lingua triste
su un muso sporco di sangue
rovesciato sull’arena,
mentre i tori di Guisando,
quasi morte e quasi pietra,
come due secoli mugghiano
stanchi di battere in terra.
No
che non voglio vederlo!
Sale sui gradini Ignazio,
tutta la sua morte al fianco.
Cerca la luce dell’alba
ma luce d’alba non trova.
Cerca il suo saldo profilo
e il sogno lo disorienta.
Cerca il suo corpo armonioso,
e trova il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentire il fiotto
ogni volta meno forte;
questo fiotto che riverbera
sugli spalti e si rovescia
sopra il velluto ed il cuoio
di questa folla assetata.
Chi mi grida di affacciarmi?
Non ditemi di vederlo!
Non si chiusero i suoi occhi
vedendo il corno vicino,
ma le terribili madri
sollevarono la testa.
E dalle mandrie venne
un vento di voci segrete,
gridate ai tori celesti
mandriani di nebbia pallida.
Non fu principe in Siviglia
degno di dirsi suo pari,
né spada come la sua
né cuore tanto sincero.
Come un fiume di leoni
la sua mirabile forza,
e come un torso di marmo
la sua prudenza armoniosa.
Aria di Roma andalusa
indorava la sua testa
la cui risata era un nardo
di sale e d’intelligenza.
Che grande torero in piazza!
Che montanaro sui monti!
Che tenero con le spighe!
Che duro con gli speroni!
Che dolce con la rugiada!
Che splendido nella festa!
Che tremendo, con le ultime
sue banderillas di tenebra.
Ma dorme un sonno infinito.
Aprono già l’erba e il muschio
con dita senza incertezze
la corolla del suo cranio.
E il suo sangue già viene cantando:
cantando per paludi e praterie,
inciampando su corna infreddolite,
vacillando senz’anima fra nebbie
urtando negli zoccoli a migliaia
come una larga, scura, triste lingua,
per formare una chiazza d’agonia
vicino al Guadalquivir delle stelle.
Oh bianco muro di Spagna!
Oh nero toro di pena!
Oh duro sangue di Ignazio!
Oh, usignolo delle vene!
No.
Che non voglio vederlo!
Che non v’è calice che lo contenga,
Che non v’è rondine che se lo beva,
Che non v’è brina di luce a gelarlo,
Che non v’è canto o diluvio di gigli,
non v’è cristallo a coprirlo d’argento.
No.
Io non voglio vederlo!
3 – Corpo presente
E’ una fronte, la pietra, dove gemono i sogni
senza avere acqua curva né cipressi gelati.
E’ una schiena, la pietra, per trasportare il tempo
con alberi di lacrime, con nastri, e pianeti.
Ho visto pioggie grigie correre verso l’onda
sollevando le molli braccia tutte forate,
per non essere prese dalla pietra posata
che ne scioglie le membra senza assorbire il sangue.
Perché la pietra prende le sementi e le nubi,
gli scheletri d’allodole e i lupi di penombra,
però non rende suoni, né cristalli, né fuoco,
solo arene, e arene, e arene senza muri.
Ora sta sulla pietra Ignazio, il nato bene.
E’ finito. Che accade? Guardate la sua forma:
La morte l’ha coperta di zolfo biancheggiante
E le ha dato una testa di oscuro minotauro.
E’ finito. La pioggia gli penetra la bocca
e l’aria come folle lascia il suo petto arreso.
e l’Amore, spugnato di lacrime di neve,
cerca il calore sopra la cima delle stalle.
Che dicono? un silenzio con i miasmi riposa.
Siamo qui con un corpo presente che si sfuma,
con una forma chiara che aveva gli usignoli
e la vediamo empirsi di buchi senza fondo.
Chi stropiccia il sudario? E’ falso quel che dice!
Nessuno sta cantando, né piange in un cantone,
non preme gli speroni, non spaventa il serpente:
qui non voglio nient’altro che occhi spalancati
per vedere quel corpo che non può riposare.
Voglio vedere gli uomini, qui, dalla voce dura.
Che domano i cavalli, che dominano i fiumi:
gli uomini cui le ossa risuonano, cantanti
con una bocca piena di sole e di granito.
Io qui voglio vederli davanti a questa pietra.
Davanti a questo corpo dalle risa spezzate.
Io voglio farmi dire per dove sia la via
per questo capitano legato dalla morte.
Io voglio che mi insegnino un pianto come un fiume
pieno di dolci nebbie e riviere profonde,
per trasportare il corpo d’Ignazio, che si perda
senza ascoltare il duplice respiro dei tori.
Si perda nell’arena rotonda della luna
che nascente somiglia a un triste muso fermo;
si perda nella notte senza canto dei pesci
nelle sterpaglie bianche del fumo congelato.
Non voglio che gli coprano il volto con pezzuole
perché possa avvezzarsi alla morte che porta.
Ignazio, non sentire il mugghio caldo. Vai.
Dormi, vola, riposa: perfino il mare muore!
4 – Anima assente
Non ti conosce il toro e la ficaia,
né i cavalli e le formiche di casa.
Non ti conosce il bimbo né la sera
perché tu adesso sei morto per sempre.
Non ti conosce il dorso della pietra,
né il raso nero in cui ti dissolvi.
Non ti conosce il tuo ricordo muto
perché tu adesso sei morto per sempre.
L’autunno tornerà con le lumache,
l’uva di nebbia e i monti raggruppati,
ma nessuno ti guarderà negli occhi
perché tu adesso sei morto per sempre.
Perché tu adesso sei morto per sempre,
proprio come ogni morto della terra,
proprio come ogni morto che si oblìa
in un mucchio di cani silenziosi.
Nessuno ti conosce. No. Ma io ti canto.
La tua grazia io canto al futuro, il tuo profilo.
La maturità insigne della tua conoscenza.
La tua voglia di morte, e il gusto del tuo labbro.
La tristezza che aveva la tua fiera allegria.
Tarderà molto a nascere, se nascerà mai,
un andaluso tanto limpido e valoroso.
Canto la sua eleganza con parole gementi
e ricordo una brezza dolente fra gli olivi.