Federico Garcia Lorca
Lamento per Ignacio Sanchez Mejias
Traduzione di Paola Magi
1 – L’incornata e la morte
Alle cinque della sera.
Era alle cinque in punto della sera.
Un ragazzo portò il lenzuolo bianco
alle cinque della sera.
Una cesta di calce era già pronta
alle cinque della sera.
Tutto il resto era morte e solo morte
alle cinque della sera.
Il vento si portò via le lanugini
alle cinque della sera.
L’ossido seminò cristallo e nichel
alle cinque della sera.
Già lotta la colomba col leopardo
alle cinque della sera.
La coscia con un corno desolato
alle cinque della sera.
Cominciarono i suoni di bordone
alle cinque della sera.
Le campane di arsenico e il fumo
alle cinque della sera.
E negli angoli gruppi di silenzio
alle cinque della sera.
E il toro, unico cuore alto levato!
alle cinque della sera.
Quando fu giunto il sudore di neve
alle cinque della sera.
Quando l’arena si coprì di iodio
alle cinque della sera.
E la morte covò nella ferita
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Era alle cinque in punto della sera.
Un catafalco con le ruote è il letto
alle cinque della sera.
Ossa e flauti gli suonano all’orecchio
alle cinque della sera.
Il toro già muggiva dalla fronte
alle cinque della sera.
La stanza s’iridava d’agonia
alle cinque della sera.
Da lontano già arriva la cancrena
alle cinque della sera.
Tromba di giglio per gl’inguini verdi
alle cinque della sera.
Ardono come soli le ferite
alle cinque della sera,
e la folla rompeva le finestre
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Ahi, terribili cinque della sera!
Era alle cinque in tutti gli orologi!
Era alle cinque all’ombra della sera!
2 – Il sangue versato
Non voglio vederlo!
Di’ alla luna di affacciarsi,
non voglio vedere il sangue
d’Ignazio sopra l’arena.
Non voglio vederlo!
La luna là, spalancata,
cavallo di nubi quiete,
l’arena grigia del sogno
coi salici sui recinti.
Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.
Avvisate i gelsomini,
con quel biancore piccino!
Non voglio vederlo!
La vacca del vecchio mondo
passava la lingua triste
su un muso sporco di sangue
rovesciato sull’arena,
mentre i tori di Guisando,
quasi morte e quasi pietra,
come due secoli mugghiano
stanchi di battere in terra.
No
che non voglio vederlo!
Sale sui gradini Ignazio,
tutta la sua morte al fianco.
Cerca la luce dell’alba
ma luce d’alba non trova.
Cerca il suo saldo profilo
e il sogno lo disorienta.
Cerca il suo corpo armonioso,
e trova il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentire il fiotto
ogni volta meno forte;
questo fiotto che riverbera
sugli spalti e si rovescia
sopra il velluto ed il cuoio
di questa folla assetata.
Chi mi grida di affacciarmi?
Non ditemi di vederlo!
Non si chiusero i suoi occhi
vedendo il corno vicino,
ma le terribili madri
sollevarono la testa.
E dalle mandrie venne
un vento di voci segrete,
gridate ai tori celesti
mandriani di nebbia pallida.
Non fu principe in Siviglia
degno di dirsi suo pari,
né spada come la sua
né cuore tanto sincero.
Come un fiume di leoni
la sua mirabile forza,
e come un torso di marmo
la sua prudenza armoniosa.
Aria di Roma andalusa
indorava la sua testa
la cui risata era un nardo
di sale e d’intelligenza.
Che grande torero in piazza!
Che montanaro sui monti!
Che tenero con le spighe!
Che duro con gli speroni!
Che dolce con la rugiada!
Che splendido nella festa!
Che tremendo, con le ultime
sue banderillas di tenebra.
Ma dorme un sonno infinito.
Aprono già l’erba e il muschio
con dita senza incertezze
la corolla del suo cranio.
E il suo sangue già viene cantando:
cantando per paludi e praterie,
inciampando su corna infreddolite,
vacillando senz’anima fra nebbie
urtando negli zoccoli a migliaia
come una larga, scura, triste lingua,
per formare una chiazza d’agonia
vicino al Guadalquivir delle stelle.
Oh bianco muro di Spagna!
Oh nero toro di pena!
Oh duro sangue di Ignazio!
Oh, usignolo delle vene!
No.
Che non voglio vederlo!
Che non v’è calice che lo contenga,
Che non v’è rondine che se lo beva,
Che non v’è brina di luce a gelarlo,
Che non v’è canto o diluvio di gigli,
non v’è cristallo a coprirlo d’argento.
No.
Io non voglio vederlo!
3 – Corpo presente
E’ una fronte, la pietra, dove gemono i sogni
senza avere acqua curva né cipressi gelati.
E’ una schiena, la pietra, per trasportare il tempo
con alberi di lacrime, con nastri, e pianeti.
Ho visto pioggie grigie correre verso l’onda
sollevando le molli braccia tutte forate,
per non essere prese dalla pietra posata
che ne scioglie le membra senza assorbire il sangue.
Perché la pietra prende le sementi e le nubi,
gli scheletri d’allodole e i lupi di penombra,
però non rende suoni, né cristalli, né fuoco,
solo arene, e arene, e arene senza muri.
Ora sta sulla pietra Ignazio, il nato bene.
E’ finito. Che accade? Guardate la sua forma:
La morte l’ha coperta di zolfo biancheggiante
E le ha dato una testa di oscuro minotauro.
E’ finito. La pioggia gli penetra la bocca
e l’aria come folle lascia il suo petto arreso.
e l’Amore, spugnato di lacrime di neve,
cerca il calore sopra la cima delle stalle.
Che dicono? un silenzio con i miasmi riposa.
Siamo qui con un corpo presente che si sfuma,
con una forma chiara che aveva gli usignoli
e la vediamo empirsi di buchi senza fondo.
Chi stropiccia il sudario? E’ falso quel che dice!
Nessuno sta cantando, né piange in un cantone,
non preme gli speroni, non spaventa il serpente:
qui non voglio nient’altro che occhi spalancati
per vedere quel corpo che non può riposare.
Voglio vedere gli uomini, qui, dalla voce dura.
Che domano i cavalli, che dominano i fiumi:
gli uomini cui le ossa risuonano, cantanti
con una bocca piena di sole e di granito.
Io qui voglio vederli davanti a questa pietra.
Davanti a questo corpo dalle risa spezzate.
Io voglio farmi dire per dove sia la via
per questo capitano legato dalla morte.
Io voglio che mi insegnino un pianto come un fiume
pieno di dolci nebbie e riviere profonde,
per trasportare il corpo d’Ignazio, che si perda
senza ascoltare il duplice respiro dei tori.
Si perda nell’arena rotonda della luna
che nascente somiglia a un triste muso fermo;
si perda nella notte senza canto dei pesci
nelle sterpaglie bianche del fumo congelato.
Non voglio che gli coprano il volto con pezzuole
perché possa avvezzarsi alla morte che porta.
Ignazio, non sentire il mugghio caldo. Vai.
Dormi, vola, riposa: perfino il mare muore!
4 – Anima assente
Non ti conosce il toro e la ficaia,
né i cavalli e le formiche di casa.
Non ti conosce il bimbo né la sera
perché tu adesso sei morto per sempre.
Non ti conosce il dorso della pietra,
né il raso nero in cui ti dissolvi.
Non ti conosce il tuo ricordo muto
perché tu adesso sei morto per sempre.
L’autunno tornerà con le lumache,
l’uva di nebbia e i monti raggruppati,
ma nessuno ti guarderà negli occhi
perché tu adesso sei morto per sempre.
Perché tu adesso sei morto per sempre,
proprio come ogni morto della terra,
proprio come ogni morto che si oblìa
in un mucchio di cani silenziosi.
Nessuno ti conosce. No. Ma io ti canto.
La tua grazia io canto al futuro, il tuo profilo.
La maturità insigne della tua conoscenza.
La tua voglia di morte, e il gusto del tuo labbro.
La tristezza che aveva la tua fiera allegria.
Tarderà molto a nascere, se nascerà mai,
un andaluso tanto limpido e valoroso.
Canto la sua eleganza con parole gementi
e ricordo una brezza dolente fra gli olivi.
Che meraviglia! Cresce sempre più in me la curiosità per questo grande poeta.
RispondiEliminaE complimenti per le traduzioni cara Paola, non è da tutti.
un abbraccio
Paola cara, bellissima! che alrro dire ? ho avuto una passione giovanile per Garcia Lorca.Mi ricordo che questa poesia la conobbi recitata alla televisione : altri tempi! Non so se conosci i libri gialli di Ben Pastor, il primo è proprio sulla morte di Garcia Lorca.Penso che ti piacerebbe.
RispondiEliminaGrazie,sempre,Paola per le tue traduzioni e per regalarci un po' di poesia.
In questa traduzione ho cercato di trattare con particolare cura i verrsi in cui Lorca dà voce alla componente animale, è magnifico il modo in cui egli dà dignità di avversario ai tori. Il toro è l'unico a gioire, le madri dei tori muggiscono e sembrano invocare i tori celesti, che sono i loro antenati in cielo, offrendo questa vittoria in risarcimento dei tanti immolati. E poi l'Amore, l'amore di Ignazio che fugge, imbevuto di gelide lacrime, e dove cerca calore? sui tetti delle stalle, al fiato dei bovini, come l'antico Gesù Bambino...
RispondiEliminaMa quanto ci hai lavorato , Paola? Tutta la notte , oppure era pronta da tempo? Me la leggerò pezzettino per pezzettino, ricordando la voce profonda e vibrante di Arnoldo Foà. Il mio babbo ringazia .
RispondiEliminaL'avevo fatta tempo fa, era lì a dormire come tante altre traduzioni che prima o poi ti farò leggere. Di solito aspetto perché via via limo e aggiusto. Questa così com'è adesso mi pare vada bene.
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